Il luogo comune più frequente sulle metropoli è quello che le dipinge come città impenetrabili di asfalto e cemento, dove traffico e frenesia non lasciano spazio alla natura. Roma, a prima vista, non si salva: caotica, con una rete stradale spesso inadeguata e grandi periferie spesso abusive o non a misura d’uomo.
Eppure questa città, abituata a stupire con la sua storia bimillenaria e i suoi scenari da sogno fatti di palazzi, piazze, fontane, ville, parchi e belvedere e con quei tramonti che ricordano quanto vicino sia il mare, può fare eccezione e svelare un lato segreto: verde, pedonale e inatteso.
Lo siamo andati a cercare nei giorni di “Zona arancione” di questa pandemia che spesso è riuscita a tenerci tutti in casa. Tra una restrizione e l’altra è nato il desiderio di andare oltre la passeggiatina di quartiere e sperimentare la possibilità di un vero trekking urbano tra le grandi aree verdi comunali.
La capitale d’Italia, città più verde d’Europa con il 67% del territorio pari a 85mila ettari sui 129 mila totali, offre al suo interno una gamma infinita di spazi verdi e aree protette spesso poco frequentate. I suoi tre fiumi, Tevere, Aniene e Almone custodiscono ambienti naturali preziosi. Le tante aree della campagna romana sopravvissute alla cementificazione offrono ambienti stimolanti per il camminatore curioso. Studiando un percorso che potesse attraversare Roma dall’estrema periferia al centro la mente è andata al sentiero dei pellegrini che da nord raggiungevano la Città eterna lungo la via Francigena.
Abbiamo rivisitato il cammino dei pellegrini, scoprendo un percorso meno fedele alla storia scritta da Sigerico ma certamente oggi più silenzioso, verde e a misura del camminatore. E così “esorcizzando” i divieti, nei giorni in cui uscire dal comune di residenza era vietato, ci siamo inventati il primo attraversamento “dentro ma fuori la città”: dal Grande Raccordo Anulare fino in piazza San Pietro.
Tomba di Nerone: dal Raccordo Anulare dentro la natura
La “Tomba di Nerone”, l’imperatore ricordato per aver ordinato il terribile incendio che nel 64 d. C. devastò Roma per sei giorni, è oggi poco più che un punto sulla cartina e il nome di un quartiere sulla via Cassia. Ma è stato anche il nostro punto di partenza. Appena usciti dal Grande Raccordo Anulare abbiamo infilato un vialetto condominiale in via Cassia 1081 che scende verso la valle boscosa. Tra le palazzine in cortina si fa fatica a immaginare di ritrovarsi all’improvviso dentro boschi di lecci, pioppi e campi coltivati e che improvvisamente si possa tornare a respirare quel clima agreste tra storia e natura tipico di Roma e dintorni. La tomba di cui parla la toponomastica, posta al sesto chilometro della via Cassia, è in realtà quella di Publio Vibio Mariano, un personaggio di secondo piano. Nerone sarebbe morto in realtà, dopo una serie di peripezie, intorno alla villa di Faonte, tra le vie Salaria e Nomentana nei pressi dell’attuale via delle Vigne nuove.
L’Insugherata: fossi, agricoltura e boschi dentro la città
Lasciamo la storia antica per addentrarci in quella recente nel monumento della natura salvata, anzi strappata alla città. Le rovine si nascondono alla vista, le fattorie restano lontane dai sentieri battuti: qui è proprio la natura a dare spettacolo, all’incrocio di numerosi fossi chiamati dell’Acqua Traversa, di Rimessola e ovviamente dell’Insugherata. Querce da sughero a volte secolari continuano a mostrare l’antico fasto della campagna romana prima della grande inurbazione. Lecci, ontani, olmi sfilano uno dopo l’altro insieme ai pioppi lungo le sponde dei fossi. Gli ambienti sono i più vari, dal sottobosco di agrifoglio fino all’acanto e alle altre specie ghiotte di umidità. Insieme alle ginestre e alle piante della macchia mediterranea, ogni cambio di versante e di terreno, ora più sabbioso, ora più terroso, creano uno scenario nuovo. Stiamo camminando sulla variante della via Francigena nord, aperta al pubblico solo nel 2016 e oggi parte essenziale dell’avvicinamento a Roma. Qui i campi sono coltivati e le greggi pascolano ignare di trovarsi dentro una grande città. La riserva sorprende per la sua varietà e la sua capacità di essere ora un parco urbano, ora un percorso per mountain bike, ora un’azienda agricola o uno scrigno di biodiversità (tanti i cinghiali presenti ma anche specie particolari come la salamandrina dagli occhiali). Risalendo l’ultima valletta stretta tra vecchi orti, sbuchiamo in un tranquillo quartiere di inizio ‘900 per un breve, inevitabile, tratto urbano che ci sorprenderà.
Monte Mario Alto: la città giardino e il Messico
Dura appena un chilometro e quattrocento metri il nostro viaggio dentro Monte Mario Alto. “Qui i romani ci venivano a passare l’estate” ci ricorda una signora avanti negli anni che guarda incuriosita i nostri abiti da montagna, gli scarponi e le bacchette in mano e noi, procedere sul marciapiede tra fornai, ferramenta, macellerie e frutterie affollate nel sabato mattina. Si riferiva agli antichi romani che avevano posizionato le loro ville in alto rispetto all’Urbe, poco lontano dal centro, ma dove l’aria era fresca e pulita e le zanzare di fiume e paludi erano ben lontane. “E’ Il quartiere più alto di Roma” ricorda con orgoglio e un sorriso. E in effetti da quassù, a quasi 130 metri sul livello del mare, ci si sente alti e risaliti dall’Insugherata si vedono di lontano le montagne del Terminillo, in provincia di Rieti.
L’attraversamento di questo placido quartiere sulla via Trionfale è l’occasione per ritrovare una Roma semplice in stile Garbatella o Montesacro. In un clima di accogliente tranquillità fatta di villini liberty e negozietti di quartiere attraversiamo via Achille Mauri e le strade vicine fino a via Vincenzo Toya. In mezzo incontriamo una piazza quadrata, dedicata a Nostra signora di Guadalupe, la patrona del Messico. Il nome fu dato all’omonima parrocchia dalle suore figlie di Maria Immacolata di Guadalupe che qui si insediarono a inizio del secolo scorso con un convento per portare la loro cura ai nuovi abitanti del quartiere. La Madonna di Guadalupe, che in tutto il mondo si festeggia il 12 dicembre, è custode di una storia “miracolosa”, tanto importante per il cristianesimo americano da essere stata elevata da Papa Giovanni Paolo II a patrona delle Americhe e di tutti i bambini non nati.
Il corridoio di Monte Mario: la città prende fiato
Dopo tanto relax dobbiamo darci per un attimo un pizzicotto e tornare attenti per superare il primo dei due incroci sul nostro percorso. Superate le stradine della città giardino un breve passaggio sulla via Trionfale tra semafori e sirene ci trasporta nuovamente in un’altra isola di pace: il parco lineare di Monte Mario. Lasciata la piazza della stazione ferroviaria si apre davanti ai nostri occhi il lungo corridoio ciclopedonale costruito sopra la ferrovia interrata della linea per Viterbo. La sensazione più forte è data dal vedere quanti romani utilizzino questa infrastruttura a piedi in bici o sui pattini: cinque chilometri che collegano Monte Mario a Monte Ciocci, incrociando quattro stazioni (Appiano, Balduina, Gemelli e Monte Mario) con dieci accessi alla viabilità stradale. Panorami insospettabili si aprono tra le palazzine: la vista sulle montagne, il parco del Pineto da lontano o il ponte che scavalca un vallone all’altezza del Policlinico Gemelli, tra i punti più spettacolari. Non mancano le occasioni di sosta grazie a panchine e spazi verdi. I cittadini si prendono cura del parco lineare: incontriamo anche un gruppo di giovani intento a ridipingere di color marrone la stazioncina di Appiano.
Capre, pecore e Oche a Monte Ciocci, guardando San Pietro ormai vicina
Il finale è ancora più stupefacente: siamo nel parco di Monte Ciocci, estrema propaggine non costruita tra la valle Aurelia a ovest e la riserva di Monte Mario a est. Si tratta dell’ultimo bastione verde prima dei “Prati di Castello”, come è chiamato il quartiere risorgimentale nato intorno al Castel S. Angelo. Ci accoglie una singolare fattoria piena di maiali, cani, oche, capre e pecore che i bambini si fermano a guardare per salutare o dargli qualcosa da mangiare al di là di una cancellata grigia. Abbarbicata sull’ultima punta di terra a ridosso della linea ferroviaria, tra eucalipti spontanei che da sempre si oppongono al ponentino, la fattoria appare come un insieme di baracche malandate. Quel posto si può vedere, tale e quale, in un film della metà degli anni ’70 di Ettore Scola intitolato “Brutti, sporchi e cattivi” nel quale un superbo Nino Manfredi recitava il cinico ruolo di un padre tirchio, ignorante e vendicativo persino contro i membri della sua famiglia, raccontando una miseria nascosta ma non scomparsa. Oggi lì vive forse qualche pastore che si può intravedere impegnato a lavoro nello stesso grottesco scenario rurale. Dalla collina spunta già prepotente il cupolone di San Pietro a ricordare dove siamo davvero: il contrasto è irreale e stridente come solo Roma sa fare. Ma la meraviglia non è finita e scendendo lungo il sentiero del parco si incontrano le serre e le piante coltivate di un istituto agrario, l’ex “Federico Delpino” nato poco dopo la fine della seconda guerra mondiale e oggi ancora attivo. C’è persino una piccola vigna alle nostre spalle, mentre noi dal belvedere guardiamo un panorama che spazia dall’Osservatorio astronomico di Monte Mario fino alle mura vaticane.
Lungo le mura del Papa
Ed è proprio lasciando il parco di Monte Ciocci e scendendo per una lunga rampa alla fine di via Cipro che ci apprestiamo a superare indenni il secondo e ultimo diaframma di traffico. Il rapido ritorno alla città ci serve soprattutto per rifocillarci con un pezzo di pizza al taglio. Proseguiamo subito dopo e da via Angelo Emo imbocchiamo un vicoletto dal nome affascinante ripiombando nella poesia di una Roma nascosta. Il Clivo delle mura vaticane altro non è che una stradina tortuosa ai lati della quale sorgono vecchie casette e un palazzetto di inizio novecento. Il vicoletto finisce in una scalinata, stretta e lunghissima, che porta dritta dritta sul viale Vaticano, proprio di fronte alle mura del Papa. Le costeggiamo, guardando i suoi mattoncini di cotto antichi, solidi, imperfetti, immarcescibili, piccoli singolarmente ma insieme imponenti come le mura che ancora oggi difendono il principio che la Chiesa possa essere anche uno Stato. Come un liquido in una bottiglia, il viale assume la forma delle mura e noi ci adattiamo ad essa danzando con lei in valzer di curve. Incontriamo il monumentale ingresso dei Musei vaticani, purtroppo deserti e chiusi in zona arancione, poi l’eleganza sabauda di piazza del Risorgimento, quindi cominciamo a percepire un’atmosfera felpata e misteriosa “entrando” da via di Porta Angelica, dove ai negozi di souvenir da un lato si contrappone un alto muro che cela, al suo interno, alcuni tra i luoghi più conosciuti del piccolo Stato come la farmacia e la redazione dell’Osservatore romano: siamo giunti in Vaticano.
In cima alla sacra bellezza
Di fronte al colonnato del Bernini siamo, ancora una volta, annientati dall’insuperabile armonia di questi luoghi. Il desiderio di tornare dopo tanti mesi a vedere la sacra bellezza si fa prepotente, così come la consapevolezza di essere in un luogo di grandi contrasti dove, in una sintesi potentissima, si fondono i pregi e i difetti, le virtù e i limiti della città, della Chiesa e della storia. Piazza San Pietro è quasi deserta. Nella sua silenziosità il fascino del centro della Cristianità esplode più forte e ci ricorda quella sera del 27 marzo 2020 in cui Papa Francesco pregò nella piazza vuota in mondovisione ricordandoci, anche in questa pandemia, di “essere tutti sulla stessa barca”. Anche oggi sono pochi i turisti, la basilica è aperta, così come la cupola che decidiamo di visitare. Senza coda, senza fretta, saliamo un migliaio di scalini al termine dei nostri oltre 20 chilometri di trekking urbano! Dai quasi 137 metri del “cupolone” (siamo più alti di Monte Mario!) diamo uno sguardo unico a tutta la capitale, alle sue cupole, ai parchi, alle grandi ville storiche e ai palazzi monumentali. Questo è il gran finale di una giornata unica: una fuga senza lasciare “casa”, un viaggio nuovo restando nella propria città. Concludiamo con una rapida visita dentro la basilica di San Pietro, la più grande chiesa cattolica al mondo, dove alla bellezza assoluta della pietà michelangiolesca fa eco, potente, la sinfonia barocca di marmi, ori, statue e altri ricchi addobbi che accolgono i pellegrini di ieri e di oggi ricordando a tutti quanto un piccolo uomo possa fare tanto semplicemente camminando, un passo dopo l’altro.
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L’itinerario
Partenza via Cassia 1081 – discesa fino alla Riserva Naturale dell’Insugherata costeggiando il fosso dell’Acqua Traversa e passando accanto alla Macchia di S. Spirito – uscita in via Augusto Conti. Monte Mario Alto: via Achille Mauri – via Francesco Cherubini – via Vincenzo Toya. Attraversamento stradale di via Trionfale – via della Stazione di Monte Mario. Parco Lineare Ciclopedonale Monte Ciocci – Monte Mario. Parco di Monte Ciocci – attraversamento stradale di via Anastasio II e via Angelo Emo – Clivo delle Mura Vaticane – viale Vaticano – via Leone IV – viale dei Bastioni di Michelangelo – Piazza del Risorgimento – via di Porta Angelica – Largo del Colonnato – Piazza San Pietro (Città del Vaticano) –
Dati essenziali
Percorso totale 21 Km .ca
Tempo totale 8 ore .ca
Dislivello in salita: 300 m.
Dislivello in discesa 361 m.
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