Carmine Lizza: Anpas, il Terzo settore e la riforma della Protezione civile

Incontro con il responsabile nazionale Protezione Civile dell'Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze

Carmine Lizza: Anpas, il Terzo settore e la riforma della Protezione civile

Volontari sempre più impegnati in campagne come “Io non rischio” e in iniziative sulla prevenzione che arrivano fino nelle scuole per essere sempre di più un volontariato che con i cittadini fa crescere la cultura di protezione civile, prima e dopo le emergenze. E’ il percorso nella Protezione civile di Anpas, le Associazioni Nazionali di Pubblica Assistenza, e a pochi mesi dal varo della nuova legge quadro, abbiamo incontrato il responsabile nazionale Carmine Lizza per un confronto sulle prospettive di un settore, quello del volontariato organizzato, che si prepara a vivere responsabilmente e in chiave moderna le sfide offerte dal territorio.

LA RIFORMA DELLA PROTEZIONE CIVILE

“Con la nuova legge siamo partiti bene perchè punta molte energie sulla prevenzione e sul ruolo del cittadino – dice subito Lizza, incontrato a Roma – Portando con sè la schematicità della 225 del 1992 e il suo riferimento costante alla sussidiarietà, la nuova legge coinvolge le persone a tutti i livelli nella realizzazione dei piani di protezione civile nella quale, voglio ricordarlo, si distinguono una parte tecnico scientifica, una operativa e una terza di comunicazione del piano stesso. In questo senso il volontariato di protezione civile è pienamente inserito sin dalla legge in questa grande operazione di preparazione dei territori ai rischi. Un valore aggiunto rispetto alla vecchia normativa che ha chiesto un grande lavoro di confronto”.

Qual è stato il contributo di Anpas nella costruzione della legge?

“Ci siamo occupati del ruolo del cittadino dal punto di vista della prevenzione e di un elemento che ad alcuni potrà sembrare marginale come il livello di consapevolezza della resilienza che un territorio, cioè i suoi cittadini, possiede. Oggi possiamo dire che l’intervento della protezione civile può e deve essere commisurato alla capacità di risposta di un territorio, superando in un certo senso una idea di risposta alle emergenze legata all’entità dell’evento A,B o C che sia.

Quindi la resilienza si può misurare?

Sì, e stiamo mettendo a punto strumenti sempre più adatti a fornire una indicazione chiara per quei territori che intendono attrezzarsi per fornire una risposta sempre più puntuale ai rischi naturali e antropici. E questo si fa anche con l’incontro con la cittadinanza attraverso campagne di comunicazione come “Io non rischio” della quale siamo fondatori insieme a Dipartimento, Reluis e Ingv, alle lezioni dei nostri volontari nelle scuole e ad altri progetti come questo che costruiscono una visione a trecentosessantagradi della prevenzione.

Voi siete tra i fondatori di “Io non rischio”: in quali altri modi si estrinseca il vostro impegno verso i cittadini?

Per quanto riguarda la campagna “io non rischio” i nostri volontari sono ormai dei veri e propri “comunicatori” delle tematiche di protezione civile. Sono persone preparate a gestire una platea e ovviamente a parlare dei vari rischi del territorio, consapevoli di svolgere una funzione sempre più centrale nella diffusione della cultura di Protezione civile. Come Sistema stiamo entrando anche nelle scuole: lo facevamo anche in passato ma ora con più coordinamento e materiali didattici studiati ad hoc la presenza dei nostri volontari si è fatta ancora più efficace. L’obiettivo è che le persone comprendano che i rischi del territorio non sono sempre ineluttabili o siano i “rischi degli altri”, se ne interessino e chiedano alle amministrazioni e alla politica sicurezza e strumenti per difendersi.

Guardando alle tante novità normative, dalla nuove legge di Pc alla riforma del Terzo settore, come ne esce secondo te il volontariato organizzato?

La nuova legge di Protezione civile va sicuramente nella direzione di potenziare il volontariato organizzato e questo per noi è un fatto positivo. La legge si dedica anche ai volontari spontanei, i cosiddetti “angeli del fango” che fino a ieri formalmente non esistevano, mentre oggi viene affidato al volontariato organizzato un ruolo di programmazione e progettazione ma anche di conoscenza e lettura del territorio che ne accresce il ruolo complessivo, valorizzando alcune delle sue principali capacità già presenti.

IL VOLONTARIATO SECONDO ANPAS

In questo senso quali caratteristiche dovrebbe avere il volontariato di protezione civile, oltre alle funzioni classiche di supporto alle componenti del Servizio?

In passato i volontari di protezione civile sono stati utilizzati troppo spesso come manovalanza. Credo invece che sia prioritario, per chi sceglie di offrire un po’ del suo tempo in questi ruoli, il “saper essere” prima ancora del “saper fare” inteso come montare un campo o una tenda. Nel “saper essere”, in questo stile che viene da una idea precisa di cosa significhi essere parte della protezione civile, c’è un sapere più profondo che significa conoscere profondamente il proprio territorio e poter compiere quelle stesse azioni con una consapevolezza diversa.

Spiegaci meglio questo aspetto.

Faccio un esempio: è senz’altro fondamentale come si montano le tende e come si fa da mangiare, ma non basta saperlo fare bene tecnicamente. Quando una nostra associazione monta un campo deve innanzitutto avere in mente che la comunità che ha subìto un terremoto non potrà mai tornare nelle condizioni di normalità precedenti. Quindi deve agire sapendo che il campo diventerà il primo contatto con la ripresa della vita e lavorare per strutturarlo come un villaggio nel quale le persone ritrovino insieme il concetto di casa ma anche quello di comunità, altrimenti senza un’idea di fondo a monte si rischia di costruire un campo “freddo”, non in grado di restituire veramente quello spunto positivo alla ripartenza di cui le popolazioni hanno assoluto bisogno.

SPECIALISTI NELLA LOGISTICA DEI CAMPI

Da questo punto di vista nell’ultimo terremoto dell’Appennino centrale Anpas ha sviluppato la logistica dei campi con i moduli da 250 con risultati interessanti nell’accoglienza.

I moduli sono composti di tende e forniti di due segreterie, una per la popolazione e una per i volontari. Il campo è senza recinti e questo ci permette di creare un ambiente il più aperto e accogliente possibile. Abbiamo anche puntato sulle “giocherie” per aiutare i bambini ma anche le loro famiglie in un periodo di grandi preoccupazioni per chi, come ad Amatrice, aveva perso tutto. E’ proprio questo il caso di un’attenzione in più, oltre agli aspetti tecnico-costruttivi del campo: la cura delle persone fragili con spazi e progetti ad hoc portati direttamente dentro il campo per far ripartire i rapporti sociali. Abbiamo formato alcune centinaia di “operatori delle categorie fragili”, volontari preparati che nel campo si rivolgono a bambini, anziani, immigrati e non solo. Dal modo di gestire le mense alla partecipazione dei cittadini ai servizi il successo dei nostri campi è arrivato anche da innovazioni come questa che cambiano il concetto di assistenza alla popolazione nelle fasi del post-emergenza.

La normativa attuale vi sostiene nello sviluppo di iniziative del genere?

La legge del Terzo settore contiene un articolo, il 57 che abbiamo voluto fortemente: in esse si ammette l’affidamento diretto dei di alcuni servizi al volontariato. Secondo questo articolo le pubbliche amministrazioni possono in via prioritaria affidare al volontariato organizzato, senza gara, le attività sanitarie e non solo. Per noi il valore aggiunto è essere una associazione radicata nel territorio e quanto può dare in termini di partecipazione attiva dei cittadini, presenza costante, di solidarietà reale tra le persone: tutti elementi che possono esistere soltanto attorno a una realtà che opera sul territorio e non rappresenta solo un servizio fornito da una azienda. Nelle nostre associazioni ogni anno le persone si incontrano, vi sono occasioni culturali e molto altro ancora: tutto ciò che distingue una cittadinanza attiva da una comunità di persone isolate. E tutto questo, oltre a fornire un servizio, riduce l’indifferenza, aumenta la resilienza e accresce la capacità di protezione comune, aumentando il senso di appartenenza.

Come si gestisce a livello nazionale tutto il patrimonio di associazioni di volontariato di protezione civile per dargli questa vitalità e questo spirito?

Abbiamo una sala operativa nazionale e le sale regionali, ma la differenza di Anpas arriva dall’aver fatto negli ultimi anni una formazione unificata su tutto il territorio italiano. Abbiamo formato circa 10mila volontari attorno a principi comuni. Ad esempio con il corso per operatore base di colonna mobile che mette il volontario in condizioni di capire il proprio ruolo, con una crescita culturale del volontario che fa la differenza nella struttura organizzativa complessiva di Anpas, dove chi agisce non è parte di una organizzazione verticistica dove conta tanto il comando, ma è il volontario a qualificare l’organizzazione in quanto membro di una comunità che agisce secondo linee e spirito comuni a servizio dei cittadini, in qualunque area del territorio si trovino a operare.

FOSDINOVO, UNA CASA PER LA FORMAZIONE

Questo sforzo per la formazione ha recentemente trovato una “casa” al confine tra Liguria e Toscana.

Sì, infatti lo scorso 14 aprile è nato il polo formativo nazionale Anpas a Fosdinovo, in provincia di Massa Carrara, la base per la formazione di tutti i volontari italiani. Oggi abbiamo la possibilità di mettere insieme, in una struttura in grado di accogliere fino a 90 persone, i volontari da tutta Italia per la formazione continua. Riconoscersi in alcuni valori, per noi laici nel senso più ampio, è fondamentale. Ora questo sarà possibile farlo riunendo gruppi provenienti dalle diverse parti d’Italia.

Tornando al tema della pianificazione, con la nuova legge cosa cambierà rispetto al Dpr194 sulla partecipazione del volontariato?

E’ stato fatto un passo in avanti importante perchè prima la legge parlava di “partecipazione” mentre oggi si dice che il volontariato “concorre” alla pianificazione d’emergenza. In questo senso l’amministratore virtuoso potrà attingere più facilmente a queste risorse, ma anche in questo caso serve la cultura della protezione civile perchè le leggi non restino solo sulla carta.

Il ruolo del sindaco è ora più vicino alla figura del manager e meno operativo che in passato: ci sono possibilità concrete per affermare il ruolo tecnico del volontariato?

Certamente, d’altro canto non si può pretendere che tutti i sindaci siano in grado di avere le stesse competenze per gestire la fase delle emergenze. Noi abbiamo formato personale specifico in grado di affiancare i sindaci. Le nostre associazioni possono metterlo a disposizione attraverso dei veri e propri “gemellaggi” per supportare le pubbliche amministrazioni sia in emergenza, sia in tempo di pace. Noi crediamo che possa essere utile inserire questo tipo di collaborazioni nelle convenzioni che le associazioni locali stipulano con le singole amministrazioni locali per far crescere la cultura della costruzione condivisa dei piani comunali di protezione civile.

Stato di mobilitazione e dichiarazione di emergenza nazionale: due nuove aspetti importanti nella nuova legge che coinvolgono molto il volontariato, soprattutto dal lato dell’organizzazione e della logistica. Cosa pensi di queste nuove disposizioni?

Come Anpas abbiamo voluto fortemente introdurre queste novità che vanno nella direzione di ottimizzare gli interventi. Faccio un esempio: se arriva un allertamento meteo per un alto rischio di evento calamitoso come l’esondazione di un corso d’acqua, posso cominciare a muovermi già da oggi, prima dell’evento stesso e anche senza una dichiarazione di emergenza, avendo un quadro normativo che sostiene le organizzazioni di volontariato su fronti come le assicurazioni dei volontari, le diverse spese e non solo. E anche questo è prevenzione.

Un passo in avanti che dovrà essere sostenuto dalle buone pratiche.

Assolutamente, e credo che nel lungo periodo se applicato correttamente comporterà un netto miglioramento nel funzionamento del sistema.

Sul fronte dell’AIB, pensando alla stagione in arrivo, quali risvolti potrebbero esserci rispetto alla possibilità dello stato di mobilitazione, considerato il ruolo fondamentale delle associazioni locali di volontariato nel pattugliamento e nell’osservazione del territorio?

Credo che l’impatto sarà minimo, considerando che già ora le associazioni agiscono nell’AIB in convenzione su tematiche fondamentali come il pattugliamento e il primo spegnimento: a mio parere la situazione non muterà nella sostanza. Il presidio del territorio è ancora lo strumento principe della prevenzione antincendio.

Articolo pubblicato su “La Protezione civile italiana” N.4 – Maggio 2018

Francesco Unali

LEGGI L’ARTICOLO IN PDF

COMMENTS

WORDPRESS: 0
DISQUS: 0