Intervista a Carlo Doglioni: “Fondi inadeguati agli studi Ingv”

Intervista a Carlo Doglioni: “Fondi inadeguati agli studi Ingv”

Gli italiani, popolo a rischio sismico e vulcanico per eccellenza, tendono a rimuovere la consapevolezza dei pericoli, salvo poi dover affrontare in emergenza tragedie gravi. Cerchiamo perfino di esorcizzare i rischi in occasione degli anniversari storici, come per esempio i 40 anni del terremoto del Friuli del maggio scorso. Sembra importarci poco che studiare e capire i segreti del funzionamento del nostro pianeta possa aiutarci a vivere meglio e a essere preparati in caso di eventi estremi, ma non solo. Partono da riflessioni del genere le risposte che Carlo Doglioni, neo presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ci ha dato lo scorso 15 giugno in occasione della sua prima intervista a capo del prestigioso centro di ricerca italiano.

Il Professor Doglioni, nato a Feltre e laureato a Ferrara, accademico dei Lincei, è professore ordinario dal 1994 e alla Sapienza di Roma dal 1997. Dal 28 aprile scorso ricopre l’incarico di presidente dell’INGV per nomina del Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini. Doglioni parla delle Geoscienze con l’entusiasmo di un neolaureato ma con la convinzione che la ricerca scientifica sia la vera strada per accrescere la prevenzione dai rischi e per intraprendere un nuovo rapporto con la Madre Terra: “La natura geologica rappresenta uno degli aspetti più belli e importanti della vita dell’uomo, dal paesaggio alle risorse naturali. Tutto proviene dal mantello terrestre: conoscere come è fatto, i minerali di cui è composto, come si è evoluto nel tempo e quali sono i meccanismi che ne controllano la dinamica oggi, significa andare alle fondamenta della tettonica delle placche e quindi avere una chiave di lettura di tutti i processi, sia quelli violenti che quelli graduali che controllano il nostro vivere quotidiano. Sappiamo ancora troppo poco delle condizioni di pressione, temperatura e la composizione chimica dell’interno terrestre, tutti elementi di base per ricostruire come funziona la Terra. La storia dell’uomo è intimamente legata alle variazioni chimico-fisiche e di temperatura sia della Terra solida che fluida, parametri che hanno permesso lo sviluppo della vita prima e dello sviluppo tecnologico poi”.

Lei ha recentemente affermato che l’Ingv è una delle più importanti strutture di Geoscienze in Europa e non si occupa solo di terremoti: spieghiamolo.

“L’INGV è composto da tre strutture che si occupano rispettivamente di Ambiente, Terremoti e Vulcani. È una delle più importanti istituzioni europee perché ha al suo interno numerosissimi ricercatori riconosciuti a livello internazionale e ha inoltre una rete di monitoraggio sismico e vulcanico all’avanguardia in tutto il mondo: è quindi una vera forza dal punto di vista culturale e con grandi infrastrutture che ne arricchiscono le potenzialità”.

Quali devono essere, secondo lei, le priorità assolute dell’Istituto?

“Penso che l’istituto debba guardare al futuro concentrandosi sulla ricerca di base in tutte le geoscienze, dando sempre priorità applicative ai rischi e alle risorse naturali finalizzate al miglioramento del rapporto tra uomo e ambiente”.

A livello italiano, oggi l’istituto gestisce circa 150 milioni di Euro l’anno: questo budget come vi posiziona? Avete le giuste condizioni per operare efficacemente?

“Ritengo che i finanziamenti di cui dispone l’ente oggi non siano adeguati agli studi che potrebbe e dovrebbe realizzare. Non abbiamo abbastanza risorse per fare tutta la ricerca di base che sarebbe compito istituzionale dell’INGV. L’investimento per studiare la Terra ha importantissimi risvolti immediati di utilità pubblica, oltre ad aiutarci a capire più approfonditamente la nostra storia e il nostro futuro. Questo aspetto è spesso ancora misconosciuto: perciò abbiamo lanciato un progetto intitolato “Working Earth”, ossia come funziona la Terra, per riprendere lo studio di base su come è fatto il nostro corpo celeste e quali sono i meccanismi che lo governano. Questo progetto deve essere una delle priorità dell’ente nel prossimo decennio”.

La questione fondi deriva anche dalla visione generale che si ha dell’istituto e dalla cultura dei terremoti in Italia.

“Purtroppo, proprio per attitudine nostra, si cerca di dimenticare i problemi; il terremoto o l’eruzione vulcanica, così come le frane, sono visti come fatti negativi da inviare prima possibilmente all’oblio. Ciò che riguarda la natura violenta è considerato un “imprevisto” passeggero cui non pensare o studiare a fondo. Tuttavia, in un paese evoluto è necessario investire in conoscenza della natura, che è la chiave anche per fare buona prevenzione. La Terra è la nostra grande risorsa: ambiente, qualità dell’aria, evoluzione climatica e non solo, dipendono in parte da noi. Studiare come funziona il pianeta al suo interno e nell’atmosfera è vitale non solo per porre rimedio ai rischi naturali, ma anche per rispettare maggiormente l’ambiente”.

Dunque anche la comunicazione e l’informazione possono avere un ruolo importante al pari della ricerca all’interno dell’Istituto?

“Penso che la comunicazione sia essenziale per far passare il messaggio che studiare la Terra è lo strumento primo per aumentare la qualità della vita, oltre che per accrescere le conoscenze fondamentali di come agisce la natura. La divulgazione è essenziale per la costruzione di una cultura dei rischi naturali e per educare i cittadini alla prevenzione: l’INGV da anni si adopera per diffondere le informazioni primarie e continuerà a farlo ancora di più in futuro”.

L’Ingv è legato al Dipartimento della Protezione Civile da una convenzione: quanto è importante e quali prospettive ha questo rapporto tra enti pubblici?

“Si tratta di un legame strettissimo, sancito perfino da una legge dello Stato. Questa relazione ha dato finora grandi frutti e speriamo si evolva ancora in futuro. C’è uno scambio settimanale di rapporti e informazioni e in caso di eventi di magnitudo superiore a 2.5 c’è un rapporto immediato, semi-istantaneo, tra i due enti. Vengono emessi regolarmente bollettini per l’attività sismica e vulcanica: per quella sismica di tutto il territorio nazionale, per quella vulcanica dei vulcani attivi italiani. La Protezione Civile è un nostro partner ineludibile sia perché l’INGV è formalmente centro di competenza dello Stato e quindi della Protezione Civile, sia perché la Protezione Civile permette al nostro ente di svolgere attività che altrimenti non potrebbe proprio effettuare per mancanza di fondi”.

Come potrebbe rafforzarsi la collaborazione con il DPC?

“La ricerca di base è la premessa per capire quali sono i parametri naturali importanti da misurare ed è quindi il passo necessario per un monitoraggio sempre più efficace e moderno. Dobbiamo sviluppare anche nuovi filoni di ricerca di base finalizzati alla Protezione Civile. Parlo di tematiche che non sono di tipo spiccatamente emergenziale, come per esempio le emissioni di gas dal sottosuolo, che sono un fenomeno costante nel tempo ma che non fanno notizia perché sono episodi distribuiti su tutto il territorio e che avvengono in modo relativamente continuo e silente”.

Sta parlando della cosiddetta “geologia medica”?

“Sì. Per farle altri esempi di possibili ambiti di ricerca, l’Istituto superiore di sanità ha stimato che vi siano circa 3500 morti l’anno per le emissioni di radon, quasi l’equivalente dei decessi provocati dagli incidenti stradali. Un discorso simile si potrebbe fare per la qualità e la salubrità delle acque: a Roma e dintorni ad esempio c’è il problema dell’arsenico che proviene dall’acqua del lago di Bracciano posizionato nel cratere del vulcano dei Monti Sabatini”.

Attualmente qual è un progetto in corso nel quale la ricerca di base serve le attività di monitoraggio per la Protezione Civile?

“Penso per esempio a tutte le attività di geodesia spaziale: in Italia c’è una rete GPS di monitoraggio di siti che rileva con grande accuratezza i movimenti orizzontali. Si tratta di un dato indispensabile per costruire un migliore rapporto con le attività che hanno finalità di Protezione Civile per la pericolosità e quindi anche il rischio sismico ed è una rete fondamentale che auspichiamo di poter espandere perché ci sono zone d’Italia ancora non sufficientemente coperte. Inoltre i dati satellitari come il SAR (Synthetic Aperture Radar) permettono ogni giorno di più di avere informazioni sui tassi di movimento verticali sia associati ai fenomeni tettonici che vulcanici”.

Quest’anno nel consueto documento di lavoro triennale c’è un contenuto innovativo, vale a dire il progetto “Working earth”: In quale prospettiva ragiona il progetto?

“Se conosciamo meglio i meccanismi di funzionamento riusciremo a capire meglio anche come si sviluppano i terremoti, quando e perché avvengono le eruzioni vulcaniche. Un domani potremmo arrivare ad avere delle chiavi di lettura più raffinate sui meccanismi che determinano la sismicità. Non sono pessimista sull’idea che si possa arrivare un giorno a prevedere i terremoti non solo come localizzazione, che peraltro è già abbastanza buona, ma anche quando avverranno. Negare un possibile sviluppo della nostra conoscenza sarebbe come se in medicina non ci si potesse prefiggere di curare i tumori. Studiamo per andare oltre, per capire meglio e saper ascoltare la terra”. 

Cosa ha ispirato il progetto “Working earth”?

“Vorrei che l’Istituto, oltre alle attività correnti e in continua evoluzione di monitoraggio ai fini della Protezione Civile, avesse degli obiettivi scientifici di alto profilo: solo in questo modo riusciremo ad attirare le menti migliori. Gli studenti più bravi si iscriveranno ai corsi di studio in geoscienze solo se le Università e gli Enti di ricerca saranno in grado di farli sentire protagonisti di un mondo migliore”.

Siamo appena usciti dai commenti su Cop21, il tema del cambiamento climatico è effettivamente un’emergenza del nostro tempo e un tema molto sentito. L’Istituto come si pone rispetto a questa problematica scientifica?

“Abbiamo un gruppo di ricercatori di altissimo livello che si occupa di atmosfera e di evoluzione del clima. C’è una linea di ricerca indirizzata allo studio delle variazioni climatiche, in particolare per esempio in quell’archivio storico straordinario che sono i ghiacci dell’Antartide. E’ quindi una delle finalità dell’INGV studiare il clima e come si sta modificando, visto che l’influenza della CO2 antropogenica è ormai accertata. Mi auguro che una delle linee di attività dell’ente sia lavorare anche sulle energie rinnovabili, a caccia di gradienti naturali di pressione o temperatura, risorse non inquinanti e in grado di produrre energia, come per esempio le correnti mareali. Si parla molto della geotermia come di una possibile risorsa energetica: questa ovviamente va bene solo se è fatta in condizioni di sicurezza. L’Islanda rappresenta un ottimo esempio di coltivazione geotermica in una zona del mondo dove vulcanismo e sismicità convivono quotidianamente. l’INGV cercherà sempre più di affrancarsi come istituto indipendente e autorevole, in grado un domani magari di produrre dei brevetti per utilizzare risorse rinnovabili”.

Ha accennato ai brevetti: Cosa fa oggi l’Istituto in questo settore così importante come contributo concreto all’innovazione e allo sviluppo del Paese?

“La priorità di un ente di ricerca non è certamente quella di svolgere attività industriale. Tuttavia, l’eventuale applicazione di nuove scoperte è senz’altro da incentivare nell’interesse della Nazione per contribuire alla crescita produttiva. Ci sono iniziative in questo senso che speriamo di implementare nel modo più trasparente e costruttivo possibile per lo Stato”.

In prospettiva dunque come vede l’istituto che dirigerà per i prossimi 4 anni?

“Nella visione di una Europa unita sarebbe auspicabile arrivare a creare un vero Servizio Geologico Europeo in cui gli stati federati avviino una politica di condivisione dei rischi e delle risorse. L’Ingv potrebbe essere protagonista di questa struttura, sul modello dell’Usgs americano che fa da riferimento per il governo americano sia per i rischi naturali, che per le risorse e la protezione ambientale. Sarebbe un modo anche per credere maggiormente nel futuro dell’Unione Europea”.

Francesco Unali (Intervista pubblicata su “La Protezione civile italiana” 2016)

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