Titti Postiglione: protezione civile e social media, il rischio di comunicare

Titti Postiglione: protezione civile e social media, il rischio di comunicare

Lunedì 18 novembre 2013, a poche ore dalla giornata di studi sui social media organizzata dal Dipartimento della Protezione civile a Roma, è esplosa la tragedia della Sardegna. Un disastro idrogeologico segnato oltre che dalle vittime e dai danni materiali, anche dalle polemiche sulle dinamiche della comunicazione e i meccanismi di allertamento di comuni e popolazione. Proprio quei temi di cui si era parlato venerdì 15  in via Vitorchiano nel corso di “La protezione civile e i social media: comunicare il rischio e il rischio di comunicare”, la giornata (ispirata alle “Lezioni americane” di Italo Calvino) organizzata da Titti Postiglione e sostenuta dal capo dipartimento Franco Gabrielli per estendere il dibattito sulla cultura di protezione civile anche all’utilizzo dei social media e avvicinare il sistema nazionale al tema della comunicazione “social” delle emergenze, analizzandone i rischi e le potenzialità, verificando le esperienze italiane di maggior successo e abbozzando un ruolo per il Dipartimento stesso.

Una «prima tappa per fare sistema» come l’ha definita la stessa responsabile Comunicazione del Dipartimento. Occasione per accelerare il processo di costruzione di quella “social protezione civile” che in altri Stati risulta certamente più avanti e soprattutto stimolo a “fare presto” per recuperare il tempo perduto. Come ha spiegato il filosofo Maurizio Ferraris, professore dell’Università di Torino, il vero potere dei governi e degli eserciti è sempre stato nel controllo degli strumenti di comunicazione. Interrogarsi oggi sul ruolo dei “nuovi mass media” quali in effetti sono i social network, significa dunque far avanzare la protezione civile sul fronte della comunicazione in un contesto come quello italiano dove le emergenze differiscono profondamente da territorio a territorio e dove il sistema, fatto di sindaci, istituzioni e tantissimi volontari, cerca una sua via anche nella comunicazione in tempo reale.

Le problematiche dell’utilizzo dei social media sono note e riguardano innanzitutto la “validazione del dato dell’informazione”, come ha ricordato in apertura il prefetto Gabrielli. Se poi, come ha ribadito nel suo intervento il professor Sabatini, linguista e presidente onorario dell’accademia della Crusca, sono necessari un linguaggio chiaro e una comunicazione immediata ed efficace, uno dei nodi ancora irrisolti resta l’impatto con il territorio e la ineludibile necessità di gestire l’informazione preventiva e quella in emergenza a partire dai territori, anzi direttamente sui territori. L’episodio di Castelnuovo di Garfagnana, diventato in questo senso vero caso di scuola a inizio 2013, conferma le perplessità del Dipartimento nell’essere attivo in prima linea con una presenza “operativa” dei suoi profili social e non semplicemente “istituzionale”. L’assessore alla comunicazione del piccolo comune toscano, Luca Biagioni, ha raccontato la sua esperienza: «Con 6.000 abitanti e zero euro per la comunicazione ci eravamo decisi ad aprire un account di Facebook e uno di Twitter sin dal 2009 e non avevamo nessun addetto ai social network. Riportavamo le informazioni del sito comunale e poco altro.

Poi nel 2012 i fatti dell’Emilia e quelli dell’uragano Katrina a New York mi suggerirono di aprire un account specifico per la protezione civile:  l’idea fu quella di passare dal megafono a Twitter e Facebook per dare l’allerta alla popolazione, nel caso i telefoni cellulari fossero andati giù». Una decisione, quella di usare Twitter (@protezionecivileCG), presa dal piccolo comune toscano che nel gennaio 2013 avvisò le persone di lasciare le case ed evitò una ulteriori danni, ma che riporta al centro un’altra delle tematiche fondamentali: il rapporto tra la responsabilità dei sindaci in protezione civile e la loro preparazione su questi temi, unita alla problematica della scarsità di risorse. «In tempi di tagli alle spese i primi fondi che “non ci sono” sono sempre quelli della comunicazione.

E poi nelle amministrazioni pubbliche – continua Biagioni – non si investe nei professionisti della comunicazione: ma in un mondo in cui la comunicazione si fa in tempo reale, bisogna saperla fare». Necessario saper comunicare ed essere autorevoli, perchè nel corso dell’intervento di Alessandro Amato ricercatore dell’Ingv, si è potuto apprezzare come in assenza di riferimenti, anche un celebre presentatore della tv anni ’80 e ’90 sia diventato nell’emergenza terremoto in Emilia una vera “Twittastar dell’emergenza”, mentre le istituzioni (già sofferenti da sè di una crisi di fiducia da parte dei cittadini) non venivano prese in altrettanta considerazione come fonte di informazione. Se il rischio “bufale”, hanno spiegato diversi tra gli intervenuti, è sempre dietro l’angolo tutti gli intervenuti hanno sottolineato la necessità di essere presenti sui social media. La riflessione sul “come”, in effetti, è ancora all’inizio, ma ad ogni emergenza cresce la consapevolezza di non poter rimandare ulteriormente un utilizzo pieno e autorevole di questi strumenti che, come ha ammonito il giornalista e blogger Alessio Jacona, “sono canali che esistono e vanno popolati, vanno vissuti”.

Col dibattito del 15 novembre il Dipartimento ha voluto innanzitutto un momento per “scambiare buone pratiche”. Il tempo per prendere posizione sembra poco e all’estero sembrano essere più avanti con le esperienze sul web (vedi la FEMA, la protezione civile statunitense, più volte citata insieme ai tanti diversi utilizzi del web 2.0 nelle emergenze da Open street map a facebook disaster board, ai profili Fb e Tw di numerose istituzioni straniere), ma il Dipartimento mantiene un atteggiamento prudente, come ha spiegato Titti Postiglione: «Perchè il Dpc non ha ancora un account twitter? Per responsabilità: prima di partire ci siamo resi conto che dovevamo capire. Perchè questo sistema di comunicazione ha nuove regole e devono essere rispettate. Non si possono usare i social media come un’estensione del comunicato stampa». L’obiettivo per il sistema di protezione civile (e non solo per il Dipartimento dunque) è essere efficaci nelle comunicazioni, ma in questo caso «nel coordinamento» ha spiegato la Postiglione.

«Non vogliamo una situazione in cui il Dipartimento sia il gestore dei social: dobbiamo costruire una rete. Se per i centri funzionali è servito un decennio a realizzarla, tanto impegno va messo sul tema della comunicazione». Ma come ha ammesso la stessa Postiglione, bisogna “fare presto” nonostante le molteplici problematiche connesse alla complessità dei comuni e alla quantità di soggetti coinvolti nel sistema di protezione civile. C’è poi il tema dell’interazione con la comunità, che domanda e risponde, fornisce informazioni giuste e sbagliate, corrette o fuorvianti, che vanno sapute gestire, in tempo di pace come in emergenza. Per questo il Dipartimento punta a coordinare la crescita nell’utilizzo dei social media, costruendo un rapporto con i cittadini che possano conoscere e scegliere, fuori dall’emergenza, un percorso di dialogo sui temi della comunicazione del rischio con l’organizzazione loro più vicina, facendo sì che poi, nell’emergenza, sia pronto un canale affidabile e veramente utile. «Per arrivare a essere il più possibile punto di riferimento serve inoltre la tempestività, ha concluso Postiglione, che può nascere solo da procedure più rapide che accorcino i tempi di “costruzione” delle notizie che sui social media vengono diffuse». Perchè questo tipo di comunicazione avviene assolutamente in tempo reale.

Francesco Unali

(pubblicato su “La Protezione civile italiana” n. 3 del 2014 – foto dal sito del Dipartimento di protezione civile)

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