A nove mesi dall’insediamento della nuova dirigenza al Dipartimento nazionale della Protezione civile la nostra rivista ha incontrato per la prima volta il prefetto Franco Gabrielli. Il suo studio nella sede centrale di via Ulpiano a Roma, a pochi passi da Castel Sant’Angelo, è il luogo in cui facciamo il punto sui primi mesi di lavoro e sulle prospettive di una macchina sempre in movimento. Sin dalle prime battute dell’incontro Gabrielli ci rivela il tema a cui tiene di più: “Il nostro motivo ricorrente è la diffusione della cultura di protezione civile”, spiega “un elemento per me fondamentale per la guida di tutto il Dipartimento”.
L’eredità di un grande patrimonio come è quello racchiuso nella struttura da lei guidata può nascondere insidie che non sempre si scoprono subito. Lei ha accettato di guidare il Dipartimento lo scorso novembre, ereditando un patrimonio 30 anni di storia stupenda, di costruzione d’un modello che il mondo ci invidia, ma anche le problematiche d’immagine e politiche, complicate dalle vicende della crisi finanziaria ed economica in corso. Se potesse tornare indietro nel tempo, accetterebbe ancora questa importante e pesante eredità?
R: Le rispondo senza esitazione “Sì”. E’ talmente preponderante l’aspetto del fascino e degli aspetti positivi che questo sistema e questo servizio internazionale hanno, che anche le criticità che si affrontano rappresentano importanti occasioni di arricchimento anche personale, come è stato in questi primi mesi.
Continuità e discontinuità. E’ parso evidente, fin dall’inizio del suo mandato, che nel redigere linee guida nazionali, regolamenti d’attuazione o riforme di procedure nei vari settori della protezione civile, lei prediliga un approccio condiviso rispetto ad uno più dirigistico e verticale che ha forse caratterizzato gli ultimi anni della direzione precedente. Lei ha promosso tavoli con rappresentanti di regioni, corpi e associazioni di volontariato per una rivisitazione nazionale della logistica, delle procedure per le maxi emergenze sanitarie e per il regolamento d’attuazione del D.L. 81. Quali continuità e quali altre eventuali discontinuità col passato?
R: Non mi piace marcare il tema della discontinuità, come se dovessi ripudiare o prendere le distanze da un pezzo della storia della Protezione civile. Preferisco sottolineare invece la continuità nell’intera storia della protezione civile, non solo con l’esperienza di Guido Bertolaso. La mia più grande ambizione è quella di ritessere le fila di un percorso iniziato nel 1982 e che ha visto tre grandi protagonisti come Giuseppe Zamberletti, Franco Barberi e Guido Bertolaso e con questo non significa che non siano stati fatti negli anni degli errori, come anche in questi mesi della mia gestione io posso averne inanellati alcuni. L’altra grande ambizione è quella di non disperdere neanche una goccia di quanto fatto dai miei predecessori.
Piuttosto credo che sia centrale comprendere quanto diverse siano le storie professionali di provenienza di chi ha guidato questo dipartimento. Guido Bertolaso, per esempio, nasce come medico e per certi versi è un “solista”, mentre io vengo da una formazione completamente diversa, da amministrazioni dello Stato in cui l’idea di essere parte di qualcosa di più articolato e complesso è la base. In questo può esserci una diversità, ma solo nell’approccio, che non c’entra niente con la discontinuità.
Il calo dell’immagine e del peso politico della protezione civile in questi ultimi due anni, con le relative ricadute finanziarie e legislative, non la preoccupano per la tenuta del Sistema? Non c’è il rischio nonostante l’attuale linea di condivisione delle strategie di un ritorno alla “preistoria” della protezione civile cdi una cultura e prassi corporativa sempre latenti in alcuni corpi e istituzioni?
R: Sono certamente temi reali, che possono costituire un pericolo. Ma credo però, prima di tutto, che alcuni concetti si siano ormai sedimentati come il fatto che il Dipartimento debba stare all’interno della Presidenza del Consiglio dei ministri, che il Dipartimento non può avere un ruolo operativo ma deve essere di indirizzo, coordinamento e controllo delle strutture operative del sistema del servizio nazionale ed interloquisce con le componenti del sistema a tutti i livelli. Dunque, pur preoccupato che alcune azioni come la riforma dell’articolo 5 della legge 225 con la legge 10 del 2011, possano prestare il fianco a tentativi di riportare indietro la lancetta della storia della protezione civile indietro nel tempo, sono anche fiducioso che il radicamento delle buone esperienze fatte finora consentano di mantenere la barra dritta.
Ciò che voglio sottolineare, come ho fatto in audizione in Commissione sia alla Camera che al Senato, è che a fronte di disegni di legge che magari parlano di dissesto idrogeologico ma poi mettono le mani nell’organizzazione stessa del sistema della protezione civile, è che se a venti anni dalla approvazione della 225 si ritiene che alcuni aspetti vadano rivisitati, una sorta di “tagliando” che può essere fatto, specie dopo novità significative nell’architettura del sistema istituzionale come la riforma del titolo V della Costituzione. Però questo “tagliando” va fatto in maniera complessiva. La cosa che mi sembra al momento più pericolosa è quella di andare a demolire pezzo dopo pezzo e senza un disegno il sistema con interventi non strutturali che finiscono solo per disarticolare e non far crescere il sistema.
La congiuntura economica sta mettendo alla prova le varie componenti del sistema della protezione civile e la stessa protezione civile ha subito una riduzione dei fondi che riceve da parte dello Stato. Non potrebbe essere proprio questa situazione un’occasione per rafforzare o creare nuove forme di coordinamento tra chi si occupa di emergenze? Che ruolo ha la protezione civile in questo senso?
R: La protezione civile questo ruolo ce l’ha già. In questi anni si è sempre più identificata con il dipartimento e con chi la guida e anche i tentativi centrifughi possono nascere proprio dalla percezione di una Protezione civile sin troppo identificata con il suo capo. Al contrario proprio in questo momento storico credo sia importante affermare la necessità di un coordinamento. La nostra forza è l’unità nella diversità: il Dipartimento deve quindi coordinare in quanto è il braccio del presidente del Consiglio, che è il vero capo della Protezione civile, che si avvale del Dipartimento. In questo senso i vari soggetti, lungi dall’essere appiattiti o “emarginati”, devono svolgere ciascuno il compito che gli è proprio e che è di eccellenza nei loro settori e che nessuno gli potrà sottrarre.
Una cosa inoltre voglio sottolineare: nessuna componente del sistema di protezione civile è tanto forte e competente da poter assorbire il tutto. La forza di un sistema vincente che tutti ci invidiano nel mondo è proprio questa, e non è un caso: con la testa nel “premier office” e tutto il “corpo” diffuso sul territorio che a quella testa fa riferimento, offrendo le sue molteplici capacità.
Facciamo chiarezza: è vero che la Protezione civile non si occuperà più di ‘Grandi Eventi’? O che l’8 per mille potrà essere destinato alla Pc? Quali sono le previsioni d’entrata?
R: Effettivamente sui grandi eventi c’è stata un po’ di confusione. I grandi eventi potranno essere decretati e imputati al Dipartimento della Protezione civile fino a che ci sarà l’articolo 5 bis della legge 401 del 2001, che è sempre in vigore. Il fatto che io abbia detto che se ne potrebbe fare a meno è una posizione del tutto personale di un funzionario dello Stato. Attualmente gli unici due grandi eventi operativi sono l’Expo2015 di Milano, per il quale stanno per essere nominati i due commissari Pisapia e Formigoni, e il congresso Eucaristico, previsto ad Ancona per settembre con commissario il presidente Spacca. Quanto all’otto per mille si tratta di un’integrazione del bilancio del Dipartimento da noi richiesta per fare la gara pubblica per la gestione della flotta dei Canadair che ha portato all’inserimento di una norma nel recente decreto sviluppo che assegna 64 milioni in vari anni provenienti proprio dall’otto per mille. Per la gestione di una campagna Aib, che quest’anno costa 150 milioni e che il prossimo anno porteremo a 127, non basteranno ovviamente i 64 milioni. Ma come ho detto anche nelle audizioni in Commissione, nel 2011 e 2012 riusciremo a gestirle con delle economie che abbiamo trovato grazie alla buona gestione economica della precedente amministrazione del Dipartimento, ma per il 2013 si dovranno trovare nuove entrate.
Decreto milleproroghe, ordinanze in deroga in caso di calamità, riduzione dei fondi. E la possibilità che se una regione viene colpita da una calamità può aumentare le tasse e le accise sulla benzina. Lei che ne pensa?
R: Sull’ultimo provvedimento siamo del parere che siamo davanti a una norma che ha prodotto più guasti che benefici. Trovo che sia incostituzionale il fatto di mettere le mani in tasca ai cittadini, creando una forte contraddizione in termini perchè da una lato il governo riconosce che quel territorio è coinvolto in una emergenza nazionale, ma poi costringe la stessa regione colpita a far fronte ai suoi problemi trovandosi le risorse da sola. Lo stato di emergenza dichiarato dal governo significa automaticamente che quel territorio da solo non può fare fronte alle problematiche sorte dall’evento calamitoso.
Quanto alla riduzione dei fondi vorrei ricordare che a valle di tutto questo meccanismo c’è il fondo di protezione civile che non viene rifinanziato dal 2004 e da ultimo il “fondo imprevisti” del ministero dell’Economia, a sua volta rigenerato attraverso le accise, come è accaduto per lo stato di emergenza immigrazione degli ultimi mesi. Rispettto al tema delle ordinanze vorrei sottolineare che a distanza di cinque mesi l’esperienza della nuova legge del 26 febbraio è per noi fortemente negativa e faccio un esempio reale: i cittadini delle Marche, del teramano e del Metaponto non hanno ancora un’ordinanza di protezione civile, neanche per gli interventi di somma urgenza. Credo che così le cose non possano andare.
Lampedusa è stata la vostra più importante esperienza recente.
R: Credo che l’emergenza Lampedusa sia da sottolineare perchè ha ribadito il credito che il servizio nazionale di protezione ha ancora in questo Paese. Dopo la mia nomina a commissario dell’emergenza abbiamo distribuito quasi ventimila persone sul territorio nazionale, sperimentando le nostre capacità in un campo come quello dell’accoglienza umanitaria agli immigrati, che non è neanche nello specifico della protezione civile. E’ un’esperienza da apprezzare in particolare perchè ha dimostrato ancora una volta la vitalità, la credibilità e l’efficienza del nostro sistema e la validità del nostro metodo.
Avete recentemente inaugurato il Contact Center della Protezione civile. Ne parli ai nostri lettori.
R: Anche questa è un’esperienza che stiamo vivendo in maniera positiva sotto molti aspetti, consolidando un’iniziativa nata proprio a l’Aquila con il servizio di Linea Amica. Siamo molto contenti che il front office abbia sede nel capoluogo abruzzese e viva grazie al lavoro dei ragazzi di Formez Pa, ma soprattutto siamo contenti di aver potuto realizzare questo servizio che per noi ha due configurazioni principali. Nel tempo ordinario è un servizio al cittadino per entrare in contatto con la protezione civile nazionale e chiedere informazioni sulle problematiche di protezione civile, evitando però ogni confusione con i numeri di emergenza che restano attivi. Sull’altro fronte c’è, ovviamente, l’emergenza: qui il contact center diventa punto di riferimento per tutto quello che riguarda, in tempo reale l’emergenza. Un servizio sempre chiaro e riconoscibile, che fornisce una mole di informazioni in emergenza grazie anche al grande lavoro di back office fornito dagli uffici del Dipartimento che può rispondere non solo telefonicamente al numero verde 800 840 840, ma anche via email per domande più specifiche.
Francesco Unali e Franco Pasargiklian
(pubblicato su “La Protezione civile italiana” n. XX del XX 2011)
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